I confini degli spazi personali non sono scolpiti nella pietra. Variano anche di molto da persona a persona, da cultura a cultura e da contesto a contesto (per esempio, potremmo dare agli estranei un ampio spazio sul marciapiede, ma finire spalla a spalla con loro in metropolitana). Lo spazio personale è un elemento da considerare in qualsiasi ambito, dalla progettazione degli edifici alla logistica dei grandi eventi.

Nel 2020, il Covid ha introdotto un fattore del tutto nuovo in termini di livelli di comfort con le altre persone. Mantenere il distanziamento sociale, quindi una distanza fisica dagli altri, è stata una delle novità principali del nostro quotidiano, portato avanti per molti mesi al fine di limitare il rischio d’infezione.

Questo cambiamento è straordinariamente illustrato da un nuovo prestampato di Daphne Halt e del suo team di Boston, Massachusetts. I ricercatori ritengono che le nostre tendenze di spazio personale non solo ci parlano degli effetti psicologici della pandemia, ma possono essere utili come indicatore dei progressi verso la riconquista della normalità.

Per esaminare come la pandemia abbia influenzato le preferenze di spazio personale delle persone, hanno condotto un piccolo studio con 12 partecipanti che avevano anche completato delle indagini pre-pandemia sullo spazio personale.

Il team ha raccolto dati sulla dimensione degli spazi personali dei partecipanti utilizzando la Stop Distance Procedure (SDP) – un compito che misura la distanza alla quale i partecipanti si sentono a disagio con una persona che si avvicina, così come il punto in cui si sentono a disagio avvicinandosi alla controparte. Questo compito è stato eseguito sia in modo classico (in uno spazio fisico con un’altra persona) che utilizzando la realtà virtuale. I dati sulla distanza raccolti durante la pandemia sono stati poi confrontati con i dati esistenti prima della pandemia di ciascuno dei partecipanti. Sono stati anche raccolti dati sulle credenze e le esperienze durante la pandemia.

Leggi anche:  Dipendenza da smartphone collegata ad una alterata attività cerebrale

I risultati hanno mostrato che, in media, le distanze che i partecipanti preferivano mantenere durante la pandemia erano significativamente maggiori rispetto ai loro confini personali pre-pandemia, sia nella realtà che virtualmente. I partecipanti che hanno registrato un incremento maggiore tendevano anche a percepire il rischio d’infezione come più alto. Sorprendentemente, però, non c’era alcuna relazione tra questo aumento di distanza e il rischio effettivo d’infezione (come definito dal numero di casi positivi nella città in cui il partecipante viveva).

Gli autori dicono che l’aumento dei confini delle persone anche nella realtà virtuale, dove non c’era alcun rischio di infezione, può essere indicativo di modifiche alle rappresentazioni neurali della “zona di sicurezza” intorno ai nostri corpi, così come i circuiti sensomotori nel cervello coinvolti nel mantenimento della nostra sicurezza. Queste idee, tuttavia, avranno bisogno di ulteriori indagini per essere verificate.
C’è anche la possibilità che questo aumento possa persistere oltre la pandemia; ma, è altrettanto possibile che il nostro bisogno di più spazio torni ai livelli pre-pandemici una volta che la pandemia sarà finita. La scala a cui sono state applicate le misure di distanza sociale è senza precedenti, e come tale, è difficile fare previsioni su come potrebbero essere i futuri confini medi dello spazio personale, rispetto ai livelli pre-pandemici.

La ricerca futura sarà fondamentale per rispondere a quanto sopra, così come per verificare che questo fenomeno si ripeta all’interno di un campione di dimensioni maggiori. Anche le analisi interculturali potrebbero essere utili, anche se le differenze nelle linee guida di Covid probabilmente renderanno particolarmente difficili i confronti transfrontalieri.

Anche così, questa scoperta sarà particolarmente interessante per coloro che lavorano in campi che richiedono stime dello spazio personale, e potrebbe potenzialmente fornire una base per lo sviluppo di strumenti per valutare la preoccupazione per l’infezione nella popolazione generale.

Leggi anche:  Dormire poco può portare alla depressione negli adolescenti

 


Lo studio


Crediti immagine: Karolis Vaičiulis